di Franz Simonini, 27 Novembre 2024
Siamo diventati un popolo perso nella nebbia, incapace di vedere la luce del nostro passato e del nostro futuro. Ci troviamo intrappolati in una realtà che non ci appartiene, confusi e smarriti, incapaci di riconoscere la nostra identità. Ma è giunto il momento di andare al di là del velo di Maya, di superare le illusioni che ci sono state imposte, per risvegliarci e ritrovare la strada verso il nostro destino.
Viviamo in un’epoca di grandi cambiamenti, ma anche di profonde contraddizioni. Da una parte, ci viene raccontato che il progresso passa attraverso l’abbattimento delle frontiere culturali, l’omologazione delle identità e la rinuncia al nostro passato. Dall’altra, vediamo crescere un senso di smarrimento, di alienazione, di distacco da ciò che ci rende chi siamo.
La nostra cultura, il cuore pulsante della nostra identità nazionale, è sotto attacco. La letteratura, che un tempo ispirava intere generazioni, viene svuotata di significato, ridotta a prodotto commerciale. Il teatro, specchio della nostra anima collettiva, è spesso rimpiazzato da spettacoli che non raccontano più la nostra storia, ma ci riflettono una realtà estranea. Il cinema, che potrebbe essere il veicolo della nostra immaginazione e creatività, è sempre più appiattito su logiche globalizzanti, prive di radici e profondità.
Questo declino non è casuale. È il risultato di un sistema mediatico che, in nome di un moralismo ipocrita, ci impone modelli che non appartengono alla nostra tradizione, spingendoci a dimenticare chi siamo e da dove veniamo. Un sistema che alimentato dalla massiccia egemonia culturale dell’Impero degli Stati Uniti, è riuscito a modellare i mezzi di comunicazione in modo da imporre una visione uniforme, globalizzata e consumista della realtà. La stampa, le televisioni e, in particolare, le reti sociali (che con inglesismo chiamiamo social network), sono oggi strumenti per diffondere e consolidare questa visione. Le reti sociali, che dovrebbero essere strumenti di dialogo e condivisione, sono diventate veicoli di superficialità e divisione. La logica dell'istante, del "mi piace” e della viralità, ha ridotto il pensiero critico a slogan, svuotando il dibattito pubblico di contenuti reali e profondi.
Il sistema mediatico che ci opprime oggi è intrinsecamente legato a un ordine mondiale imposto dall'egemonia statunitense, che da decenni guida l'agenda culturale e politica globale. L'influenza americana si riflette nei prodotti culturali che consumiamo quotidianamente e nei modelli di pensiero che ci vengono presentati come "universalmente validi". Ma questo non è il nostro mondo, né la nostra visione. È il momento di liberarci da questa costrizione esterna e di ridare valore alla nostra identità, alla nostra storia, alla nostra cultura.
Ma il problema non si limita ai contenuti culturali. Parallelamente, assistiamo a un attacco sistematico all’educazione delle nuove generazioni. Nei programmi scolastici si tende a ridurre l’importanza della nostra storia/e, del nostro patrimonio culturale, del popolo che ha segnato il nostro cammino. Si vuole privare i nostri giovani della memoria collettiva, sostituendola con una visione distorta o frammentaria, dove il senso di appartenenza viene deliberatamente cancellato.
Eppure, un popolo senza memoria è un popolo senza futuro. E noi italiani siamo gli eredi di una civiltà straordinaria, quella romana, che ha gettato le fondamenta della nostra cultura, della nostra lingua e delle nostre istituzioni. L’eredità dell’Impero Romano non è un capitolo chiuso, ma un filo rosso che attraversa la nostra storia. Dai tempi dei Cesari, l’Italia è stata il cuore del mondo mediterraneo, il punto di incontro tra Europa, Africa e Oriente, il faro della civiltà occidentale e del progresso.
Non c’è nulla di fascista nel ricordare che siamo gli eredi di Roma. Quindi smettiamola di etichettare con vent’anni di vicende, una storia di duemila anni. Non c’è nulla di ideologico o nostalgico nell’affermare con orgoglio che la nostra traiettoria storica e culturale ci lega indissolubilmente al Mediterraneo e al ruolo centrale che vi abbiamo sempre giocato. Questa è la nostra realtà, il nostro lascito e il nostro destino. Rivendicare ciò non significa rivivere il passato, ma costruire il futuro con la consapevolezza di ciò che siamo stati e di ciò che possiamo essere.
La civiltà romana ci ha insegnato il valore della legge, della costruzione sociale e del dialogo. Attraverso il diritto romano, le infrastrutture, l’arte e la letteratura, i nostri antenati hanno plasmato un mondo che ancora oggi ci ispira. È nel Mediterraneo che Roma ha trovato la sua forza, ed è nel Mediterraneo che l’Italia deve oggi ritrovare la sua centralità.
Essere al centro del Mediterraneo significa assumersi la responsabilità di proteggerlo e valorizzarlo. Non possiamo accettare che questo mare diventi un simbolo di divisione, conflitti o tragedie. Dobbiamo lavorare per una visione di riscoperta, dove l’Italia non solo difende i propri interessi, ma guida uno sviluppo condiviso per tutte le nazioni che si affacciano su queste acque.
O mare o morte, o siamo popolo marittimo o periamo!
Dobbiamo riaffermare il legame indissolubile tra noi e gli antichi popoli latini, che condividono con noi un patrimonio comune di lingua, cultura e valori. Il latino non è soltanto la radice della nostra lingua: è il segno della nostra vocazione universale, il simbolo di un’Italia che non si limita a guardare al passato, ma lo usa come una guida per il futuro.
Dobbiamo investire nell’educazione, restituendo centralità alla nostra lingua, alla nostra letteratura, alla nostra arte, alla nostra storia, alla nostra geografia, alla nostra geopolitica e al ruolo che il pensiero romano ha avuto nella costruzione dell’Occidente. Dobbiamo trasformare le reti sociali da strumenti di superficialità a mezzi per diffondere il nostro straordinario patrimonio culturale. E dobbiamo riaffermare la nostra posizione come guida culturale e politica nel Mediterraneo.
Non si tratta di chiuderci al mondo, ma di affrontarlo con orgoglio e consapevolezza, portando il nostro contributo unico e irripetibile. Difendere la nostra identità non significa respingere l’altro, ma dialogare con esso da una posizione di forza e dignità, proprio come Roma ci ha insegnato duemila anni fa.
Oggi, più che mai, abbiamo bisogno di riscoprire ciò che ci unisce, ciò che ci rende un popolo. Abbiamo bisogno di ricordare che il nostro passato non è un peso, ma un faro che illumina la strada. Con questa consapevolezza, possiamo guardare al futuro con fiducia, sapendo che la cultura italiana, il Mediterraneo e l’eredità latina non sono reliquie, ma forze vive, capaci di affrontare e vincere le sfide del nostro tempo.
Non ci resta che risvegliare la nostra consapevolezza, riprenderci la nostra dignità e dire con forza: “Siamo italiani, siamo mediterranei”. È giunto il momento di tornare protagonisti, di rialzarci con coraggio e di costruire il nostro futuro. Non abbiamo paura di rivendicare il nostro posto nel mondo. È tempo di riprendere il nostro destino in mano, di pensare al Mediterraneo come nostro mare, come nostro cuore pulsante.
E per farlo, dobbiamo smuovere le passioni, risvegliare gli istinti che un tempo hanno alimentato la nostra grandezza. Non possiamo più rimanere spettatori passivi di una realtà che ci soffoca. È il momento di fare emergere la nostra forza interiore, la nostra determinazione. Solo se ritroviamo quella forza assopita nel cuore di ogni italiano, solo se riscopriamo il coraggio di agire e di lottare per ciò che è nostro, saremo in grado di affrontare il futuro.
Soltanto attraverso una ritrovata forza giovanile riusciremo a cambiare. Il futuro dell’Italia dipende dalla nostra capacità di risvegliare la demografia. Il Mediterraneo, cuore della nostra civiltà, esige un’Italia giovane e istintiva, capace di tornare a essere protagonista della propria storia. Dobbiamo sostenere con forza le famiglie, incentivare la crescita e ridare speranza ai giovani che scelgono di costruire il loro futuro qui. È tempo di investire nel nostro popolo, nella nostra cultura, per restituire all’Italia la centralità che le spetta nel Mare e nel mondo. La nostra rinascita passa dalla vitalità delle nuove generazioni.
Non possiamo permetterci di essere tiepidi, di restare indifferenti di fronte alle sfide che ci attendono. Il destino è nelle nostre mani, e sarà solo attraverso una passione ritrovata, un istinto di rivalsa, un’unità ritrovata che torneremo a essere il popolo che ci spetta di essere. Non aspettiamo che il cambiamento arrivi dall’esterno. Facciamolo partire da dentro di noi, con la forza delle nostre radici, con la determinazione della nostra storia.
Non aspettiamo che altri ci dicano chi siamo. Lo sappiamo già: siamo un popolo con una grande storia, un popolo con un grande futuro. È il momento di agire, di riscattarci e di riscrivere finalmente la nostra traiettoria.
O Mare, O Morte!
A/Essenza Geopolitica di Franz Simonini
🌊 Al di là del Velo di Maya: la Geopolitica come sguardo nel Mondo
Se è possibile, mi piacerebbe poter dialogare su questi temi, e su qualche altro. Vorrei in particolare superare qualche perplessità. Ad esempio, certi toni sono pura enfasi, o alludono ad opzioni ideologiche su cui non si possa transigere?
È infatti innegabile che noi si debba fare resistenza, contro una deriva che ci distrugge ogni identità. Ma è solo nazionale, quell'identità? È solo marittima? È da recuperare solo quel che abbiamo perso? È da rifiutare solo quel che non abbiamo perso?
La demografia rema contro il futuro del popolo italiano così come l'abbiamo conosciuto, ma è una causa o piuttosto una conseguenza di una deriva, che non è solo culturale ma è fatta di difficoltà nel fare e gestire famiglia?
Che importanza assumono le frontiere geografiche?
Chi non nasce da questa parte di mare, ma per vivere ci viene, ha un suo posto tra noi? A qualche condizione, e chi la stabilirebbe? L'umanità, di fronte ai singoli, sarebbe scavalcata da criteri identitari?
Costruiamo geopolitica sui grandi numeri, trattando le persone come piccoli ingranaggi?